Race for Glory, una bella storia che promuove i rally

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Giacomo Cunial

Nessuno spoiler, ma il messaggio che compare tra la fine di Race for Glory e i titoli di coda è fondamentale: “[…]le vicende narrate nel film sono ispirate a eventi realmente accaduti. […] Tuttavia il contenuto è stato liberamente rielaborato dalla fantasia degli autori, la descrizione degli eventi e dei personaggi coinvolti drammatizzata e alcuni personaggi ed eventi sono stati creati per esigenze narrative.[…]”

C’è da aggiungere un paio di aspetti preliminari: raccontare non solo il motorsport – rally in particolare – ma lo sport in generale in ambito cinematografico è opera difficile, molto più che farlo in ambito letterario o in un documentario. Ma, soprattutto in questo caso, la storia legata allo sport è quella di un uomo, Cesare Fiorio, che con la sua attività di team manager della Lancia ha scritto una pagina di storia mondiale, attraverso lo sport dei rally. Grazie a Cesare e grazie a Riccardo Scamarcio, che lo interpreta come attore e ne ha visto il potenziale come produttore, si parla di rally al cinema ma non è un documentario, è il racconto di un personaggio e un’epopea, quella di un’Italia che aveva ancora in mente la gloria e quella dell’automobilismo sportivo italiano che ha vissuto uno dei suoi massimi storici proprio nell’anno della stagione 1983: un’auto a 2 ruote motrici posteriore ha battuto per l’ultima volta una quattro ruote motrici vincendo un campionato del mondo di rally (costruttori) e uno squadrone finanziariamente e tecnologicamente avanzato come quello tedesco dell’Audi Sport battuto dall’estro e dall’ossessione italiana di vincere. 

Sono almeno due le prospettive da cui si può guardare Race for Glory. Da dentro la nicchia, cioè da cultori, tecnici, esperti, amanti, appassionati, tifosi, con occhio analitico e critico. E da fuori la nicchia, con occhio incuriosito e pronto a vedere una storia, qualcosa di inedito. Nessuna delle due è sbagliata, ma il tentativo qui è di concentrarsi sulla seconda e uscire dalla nicchia per capire se questo film può essere un utile strumento di promozione del rallysmo inteso come attività presente nella nostra cultura e come sport in cui le sfide sono interessanti da un punto di vista storico. 


Lo è: il film è piacevole e affascinante. Soprattutto nella prima parte, in cui l’iniziale intervista a Scamarcio Fiorio aiuta a contestualizzare la vicenda, attira per l’estetica atmosfera anni ‘80 tra colori, sound delle vetture e stile dei protagonisti. Attira anche per l’assenza di effetti speciali – a cui siamo purtroppo fin troppo abituati, anche nella vita reale – offrendo un realismo narrativo che avvolge lo spettatore e lo mette a proprio agio. Il resto lo fa la sfida che intraprende l’underdog Fiorio con l’azzardo di sviluppare una 2 ruote motrici come la 037 per battere l’ormai affermata quattro ruote motrici Audi, con le conseguenti sfide tecniche. Da qui il film prosegue nelle diverse tappe del campionato 1983 da Montecarlo al Portogallo, passando per la Finlandia, la Corsica e arrivando al finale thriller di Sanremo. 

Due cose si potevano fare meglio senza dubbio: le transizioni tra una gara e l’altra, che nel film rischiano di disperdere il filo logico della narrazione, e le riprese dinamiche, più volte infatti i passaggi esterni delle vetture in Prova Speciale sono poco credibili e risultano poco adrenalinici nella resa finale. (Piccola parentesi: sono presenti anche scene di tratti di trasferimento, molto belle, come quella in Grecia, che mostrano la bellezza della “avventura”, componente imprescindibile del rally.)
Questi, assieme ad una scena nel finale, sono gli oggettivi difetti di questo film. Ma come per la presenza delle vetture in assetto da asfalto sullo sterrato – chissenefrega – sono dettagli che non complicano la drammaturgia e diventano poco significanti per chi pensa che un rally sia un andamento di Borsa in cui il prezzo di un asset vede una spinta al rialzo sostenuta, o uno scambio in una partita di tennis, o l’ha visto solo in un articolo di cronaca nera. Che è esattamente il pubblico a cui si rivolge questo film, in uscita in 400 sale in Italia oltre che in distribuzione in tutto il mondo. Come per Le Mans ‘66, come per Rush, come per Gran Turismo, ci sono dei falsi storici, ci sono inesattezze, ci sono interpretazioni fantasiose, invenzioni. Ma nella valutazione finale, non rovinano il film nelle sue intenzioni.
E anzi, il film su Cesare Fiorio permette di fare la cosa più importante per il rallysmo moderno: uscire dalla nicchia in cui si è cacciato, e sfruttare l’heritage di queste storie è una via da perseguire per promuovere uno sport che non gode dell’interesse che meriterebbe.
Un ponte tra generazioni, tra dov’eravamo e dove siamo e dove possiamo andare con consapevolezza, perché da quel 1983 il mondo è cambiato. 

E lo sport dei rally sia di nuovo un’ispirazione. 

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