Rimettiamo la chiesa al centro del villaggio

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Giacomo Cunial

Un proverbio francese ci aiuta a mettere in parola un sentimento che prende forma man mano che andiamo a vedere e approfondiamo l’ambiente rallystico italiano. 

Andare in giro per rally è un piccolo viaggio di scoperta, un piccolo Grand Tour. Questa striscia di terra nel cuore del Mediterraneo svela orizzonti sempre diversi, soprattutto lungo le strade secondarie, strade vecchie, strade che seguono i profili del territorio, scoprono panorami, sfumature di colori, cieli, campanili, borghi e storia, le stesse strade che portano al cuore della gara, le prove speciali. E poi c’è il villaggio rallystico, fatto delle persone che nomadando di gara in gara, si incontrano e condividono gioie e dolori della specialità.

Andare in giro per rally è turismo, no anzi è molto di più è paesologia, l’arte dell’incontrare paesi e luoghi, come centri di vita associata, d’identità, immersi nel territorio e nella storia e interpretati fuori da ogni schema. Un neologismo non nuovo, coniato da Franco Arminio nelle sue ricerche sull’Italia profonda (pamphlet con Giovanni Lindo Ferretti, 2019, edito da GOG). Dice Arminio nel suo libro: “c’è un’Italia assopita che non è quella delle grandi città, né quella dei borghi patinati che vediamo sui dépliant turistici”, molto spesso le zone teatro dei rally italiani. Quei borghi dimenticati non ancora da Dio ma spesso dagli uomini, quelli che man mano son stati esclusi dalla storia, quelli rimasti fuori dalla dialettica di ferrettiana memoria (CCCP) del produci, consuma, crepa. 

In quest’era desacralizzata di oggi, però, capita che proprio i luoghi lontani dalle metropoli portino con sé un fascino particolare, viscerale, un significato profondo, un’anima, che incontrarli lungo il viaggio in auto sia stimolante e gratificante. D’altronde di microturismo si parla da tempo in Italia ma il tema, forte, non viene sfruttato da chi di microturismo è composto nella sua essenza costitutiva: i rally, appunto. Se si aggiunge, poi, alla mistica già potente di questi luoghi, il suono e la velocità delle auto da corsa che sfrecciano tra un albero e una scarpata, di giorno e magari anche di notte, beh si raggiunge un’estetica ineguagliabile. Emozione pura come dicono in Formula 1, noi diciamo folgorazione al pari della sindrome di Stendhal. 

I rally sono viaggio, estetica, mistica emozionale, sport ovvero la “guerra in tempo di pace”, nati prima come raduni di appassionati che si davano appuntamento per farsi un giro, da lì a poco diventati in modo quasi automatico una sfida a chi quel “giro in macchina” l’avrebbe fatto più veloce e senza rompere nulla di meccanico.
C’è lo ha detto Sergio Maiga raccontando di com’è nato il Rally di Sanremo, ce l’ha detto Miki Biasion di come la sua storia sia nata andando a girare sulla neve in montagna, le notti da giovane.

Di tutte queste cose, forse, ci siamo dimenticati. E dobbiamo rimetterle al centro. 

“On a remise l’église au milieu du village” è un proverbio francese molto usato a Montbéliard, un paese nella zona Est della Francia, al confine con la Svizzera, che significa “rimettere la chiesa al centro del villaggio”. Questa espressione è legata alla cultura che vige in quelle zone della Francia dove per chiesa si intende comunità, non soltanto la struttura architettonica. Il proverbio significa anche rimettere in ordine le cose, così come devono essere. La chiesa, infatti, nell’immaginario e nell’iconografia è al centro del villaggio perché la comunità deve nascere da un senso comune. Ci vuole un senso, una filosofia, una religione, un Dio, per stare assieme. La civiltà non è sola tecnica.


Ci sono tre fotografie che ci sono rimaste nel cuore e nella mente e che abbiamo appuntato nel diario di viaggio: le auto da rally che sfrecciano di fianco al Colosseo, la collina di Bajardo con il meraviglioso borgo di case abbarbicate sulla cima e il bivio della prova speciale di Rubbio, in notturna, con i ragazzi della bombonera. Ecco, senza scadere nella nostalgia, è da questo trio di suggestioni che bisognerebbe farsi ispirare per ristrutturare il nostro sport, liberandolo da sovrastrutture legate a vecchi schemi. Ricordarsi com’è nato questo sport, al di là dei regolamenti, non per fare il culto delle ceneri ma per alimentare nuovamente il fuoco. 

Continua…

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